Nel 2006 l'associazione culturale S.T.E.D. (www.stedmodena.it) ha indetto la settima edizione del suo concorso di poesia. I poeti italiani sono stati chiamati a partecipare componendo poesie sul concetto di "uno".
In occasione della cerimonia di premiazione (18 e 19 giugno 2006) Davide Bulgarelli e Tony Contartese hanno allestito e diretto uno spettacolo, intitolato appunto "Uno", il cui testo era costituito dalle poesie finaliste, recitate dagli allievi del primo anno del corso di recitazione dello S.T.E.D.
Il materiale video è stato acquisito da Massimo Termanini durante la rappresentazione del 18 giugno 2007 ed è stato successivamente montato da Susanna Molinari, con l'aiuto di Fabrizio Serri, tra il luglio 2006 e il gennaio 2007.
Si ringrazia l'Associazione Fuori Orario per aver prestato la telecamera e LaTenda (www.latenda.mo.it) per aver messo a disposizione lo spazio e i mezzi per il montaggio.
Le foto (Davide Bulgarelli a sinistra, Tony Contartese, Susanna Molinari) sono del 18 giugno 2007.
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Poche ombre
si adagiano appena
a coprire il percorso
dei miei pensieri silenziosi.
Cammino radente il muro
tra le auto parcheggiate
in questa strada semibuia.
Forse dovrei
non lanciare più messaggi
verso mondi sconosciuti
e continuare a vivere
semplicemente
graffiando la terra
con le dita uncinate
dei miei piedi nudi.
Sono solo
e così per sempre
senza dolori e pentimenti
senza gioia né lacrime
ma pienamente
dentro me stesso.
Così mi sento
uno, come tanti
eppure unico.
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19(u) + 12(n) + 13(o) = 1(UNO)
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Concordi migrano le frecce al centro;
mirando il Meridione innoto ancora
van l'anatre al bel sol che fugge incontro,
e gli occhi del piccino alla buon'ora
desto ricercano la madre, intenta
al tenero decoro delle mura
nuove.
Il vecchio nega il guardo all'orizzonte,
chè già potrebbe intravedersi a un passo
Colei che porta scritto un "Hodie" in fronte;
e nel voltarsi poggia un piè su un sasso,
inciampa, e a Lei si trova - ahimè - d'innanzi.
E il fiero giovane Lei anco attira
a sé.
Ricorda che, per volontà o destino,
un esito comune han l'arti nostre:
mutarle od ignorarle è gesto umano,
leale quanto vano, benché illustre.
Dall'unità si nasce con il Tutto,
e il Tutto ci raduna e fa, di molto,
UNO.
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S'à fosa nê divers
à sarév stê...
S'à fosa nê d'invérén
o d'istê...
S'à fosa in d'una frès
un predichê...
M'à sun mè. Sol.
E d'sol agh'né
à zérchèr,
sat'à cal sol che sol
l'impia i prê,
e al cantèr di uslèin
ch'l'è sol
ma méa in t'al nostri sussurrèdi diversitè.
Stèr sol:
la rivoluzioun d'la perfezioun.
Al compromés:
la gàza d'la devastazioun.
L'armonia di contrari
ch'is mèsden in d'l'unitè.
Andàm amigh,
mè e tè, contrari,
ch'in t'al sfiorèr stal sôl
insèm à sam un sol.
Se fossi nato diverso
forse sarei stato...
Se fossi nato d'inverno
o fosse stata estate...
Se fossi in una frase
un predicato...
Ma sono io. Solo.
E ci sono tanti soli
a cercarli,
sotto quel sole che solo
accende i prati,
al cantare degli uccellini
ch'è uno solo
ma non nelle nostre
sussurrate diversità.
Stare soli:
la rivoluzione della perfezione.
Il compromesso:
la goccia della devastazione.
L'armonia dei contrari
che si fondono nell'unità.
Andiamo amico,
io e te, contrari,
che nello sfiorare questo suolo
insieme siamo uno solo.
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Come un condannato
col viso contro il muro,
una scarpa rovesciata,
sul selciato,
sotto la pioggia rivive
i giorni del passato.
Gli agili voli
nei sofferti miti,
le corse ansiose,
delusi passi
che stanchi premono
del reale i sassi.
Ed ogni goccia
che nel corpo scende
più calde immagini
del cammino accende
mentre quell'atomo
verso il nulla tende.
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M'innamoro di tutti
di nessuno
completamente interessata
nulla m'importa
in ogni è bianco
sola nel nero.
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Tu UNO dei tanti!
Un essere qualunque.
Unica è la tua presunzione.
Tu comune mortale
senza né arte né parte
e ti credi un gigante.
Unica fortuna è che sei il solo al mondo,
l'unico,
se ce ne fossero altri:
impazzirei.
Uno dei tanti
senza né arte né parte.
Uno, uno.....unooooo....u-no u-no...
Sei uno qualunqu-e-e-e-e-e-e!
Sono esausta per il gridare.
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Mi ha sfiorato,
stasera,
all'angolo di strada,
ravvolto nella scia
- catalitica -
delle voglie strane,
d'argonauta,
sulla statale "172",
incontro al mistero
di uno sguardo,
sbarrato,
sulla mezzeria
continua,
tratteggiata.
Volvea la Uno,
decapottata
- "lei", chioma al vento -
fermo io,
impetrato,
oltre la striscia
laterale bianca,
corpo estraneo
al fluire eterno
del "panta rei",
canalizzato!
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Non crebbe messe di sorrisi
nel mio campo.
Fui ramarro a camminare
su muri screpolati dal dolore
(troppe volte il vento
portò via i miei sospiri).
Eppure vissi allegria di ulivi
ai baci del mattino,
vissi mormorio di fronde
in cima alla collina.
E colsi i grappoli
del tempo che mi fu donato,
in cielo luccichio di stelle
e il loro eterno moto
su sconosciute vie.
Mi ficcai nel gioco della vita
tentando di leggerne il destino
nel grande libro dell'immensità.
Non ebbi dono a scardinare
la ferrigna porta del mistero
(nessun umano possiede chiavi
da girare in quella serratura),
eppure sognai più volte
prati senza tempo
dove perenne scorre
il fiume della giovinezza.
Forse un Dio mi soffiava in cuore.
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Uno che sulla strada di Damasco
di un'acre infanzia si era innamorato
della Poesia; Della furfanteria
scompaginata di Francois Villon
dei cupi soliloqui di Humphrey Bogart;
Delle esangui parabole di Keaton;
Delle avventure dei vecchi pirati
della Malesia logori e anneriti
che amavano e uccidevano col cuore;
Del borbottio sommesso e sonnacchioso
della radio a sei valvole la sera;
Le avventure de L'OMBRA CHE CAMMINA;
la leggenda maligna di Giuliano;
la rossa frenesia di Rita Hayworth.
Il Tango, Cino e Franco, lo jo jo.
Uno che aveva rinnegato le
proprie radici, le proprie ragioni
e ne aveva cercate sempre altrove
nuove, illusorie, fragili. Perdenti.
Uno che aveva scelto una compagna
fatta madre di figli e poi lasciata
quando il copione non corrispondeva più alle sue sensibili paure.
Come aveva lasciato inutilmente
e ripetutamente la famiglia,
una città, l'infanzia senza avere
saputo mai il perché di quella cosa.
Uno che si è cercato ed ha creduto
di trovare ogni volta il posto in cui
trovarsi inutilmente nelle vecchie
botteghe, nelle strade dove il cuore
pulsava di magnifiche città.
Ma si è perso e non si è trovato mai.
Perché il copione non corrispondeva
mai alle sue passioni. E lui credette
così di essere l'ultimo in un gioco
dove si perde sempre e c'è chi più
perde e chi meno perde. E nella nebbia
non si era mai trovato al posto giusto.
Perché metteva il cuore sempre dentro
lo scaffale sbagliato. Perché dentro
i vizi di un'infanzia prigioniera
tremendo gli era stato inoculato
un decotto di favole maligne.
Uno così che nella geografia
dei sensi, della storia e i sentimenti
era un tutto ed un niente che sbatteva
le sue elitre sempre più pesanti
sui vetri opachi della vita adesso
rivede i vecchi film degli anni trenta
e quaranta con timido rancore.
E finge di ignorare che è vicino
il momento di chiudere il sipario.
Che all'improvviso da un momento all'altro
la scritta FINE si sovrapporrà
su una parte qualunque della sua
ultima fase della sceneggiata.
E che alla fine della traversata
non si sarà trovato
e non si troverà.
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Uno
inizio di ogni conto
primo
gioco dell'io
incanto magico
si schiude
e ci regala
dio
inizio di ogni via
la casa
col suo segno
inizio e non addio
se non al vecchio anno.
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Chiudere è dolce
la porta di casa
la sera.
E tutti
essere uno,
e nessuno di fuori.
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Pensa, Teresa, se
noi uomini
noi uomini
fossimo Dio, se fossimo
Dio che ha dimenticato
se stesso, la sua eternità
e cercandosi
vaga sulla terra
in innumerevoli
forme di carne.
Lui si indaga
nel celeste vuoto
dove niente c'è più,
non dove
niente
è mai stato,
e tramite il noi
che è diventato
si sperde
Dio è diventato ateo
così, senza
rammentarsi,
scettico di sé
stretto in una forma
all'apparenza mortale.
L'oro e il cercatore
sarebbero la stessa cosa,
giudice e malfattore
la stessa povera sorte:
persona una e trina
smemorata
e inconsapevole.
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Si scoprirà perché
l'essere bello o brutto
è spreco di giudizio
per UNO sulla scena,
in pericolo, in disparte.
Uno è solo a tagliarsi le vene,
a mendicare cieli, futuro,
uno guardato, schedato,
osservato, plagiato nei movimenti,
avanti e indietro,
da sopra e sotto.
Ogni cosa è al suo posto,
e uno dentro ci si taglia,
si ubriaca, ci si dispera, ne gode.
Lascia impronta col piede,
senza sapere che il mondo è di sabbia
e l'onda gelida
la cancella per sempre.